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Domenica, 28 Novembre 2004

Mestre
Torinese, non ancora ...
Mestre

Torinese, non ancora cinquantenne, discendente da un albero genealogico "pesante" (il nonno Luigi è stato uno dei padri della Repubblica, il padre Giulio uno dei massimi editori italiani), Ludovico Einaudi è una delle più interessanti e problematiche figure di "pensatori" musicali emerse nel panorama italiano degli ultimi anni.

Pianista, militante rock in gioventù, studi di avanguardia con Corghi e Berio, il suo stile compositivo si è sviluppato lungo le vie di una rarefazione formale quasi estremistica, che ha indotto qualcuno a parlare di "minimalismo". Ma per Einaudi ciò che conta non è la contemplazione ossessiva e autoreferenziale di poche, iterate e semplicissime cellule melodiche bensì il loro continuo, perpetuo sviluppo e intrecciarsi, fra accelerazioni improvvise e altrettanto subitanee sospensioni, all'interno di vere e proprie "ballate" che non possono non rimandare - insieme al sapiente utilizzo del "rubato" e degli abbellimenti - al modello strutturale chopiniano quasi riletto attraverso la lezione impressionistica di Debussy.

Un pianismo, quello di Einaudi, che rifugge da ogni etichettatura di "genere" così come da ogni concessione spettacolare, quasi ripiegato su se stesso, in architetture ondulatorie e incantatorie basate su tempi lenti, tonalità prevalentemente minori e un arco dinamico che trascorre da perentorie affermazioni del suono a "pianissimi" sospinti sino ai confini del non udibile. Perchè è evidente che, nella musica di Einaudi, il ruolo del "silenzio" si carica di importanza primaria, non come "vuoto" ma come "attesa".

Tutto questo è emerso limpidamente nell'ipnotizzante concerto che il maestro ha tenuto l'altra sera al Toniolo, aprendo la rassegna "Musica e linguaggi" organizzata dall'assessorato alla Cultura del Comune di Venezia e dal Circolo Caligola: quasi due ore e mezza senza intervalli nel corso delle quali Einaudi ha srotolato lentamente il raffinato gomitolo della sua vena creativa, presentando brani tratti dai suoi lavori "Una mattina", "I giorni", "Eden Rock" e dalla colonna sonora di "Luce dei miei occhi" di Giuseppe Piccioni.

La composizione cinematografica, infatti, è uno dei rami in cui Einaudi, sin dall'esordio per "Treno di panna" (1988) di Andrea De Carlo, ha potuto meglio esplicare il proprio talento di narratore psicologico, attraverso una strumentazione cameristica aristocratica e liquescente, ponendosi spesso al servizio di giovani registi italiani ("Acquario" di Michele Sordillo, lo splendido "Le parole di mio padre" di Francesca Comencini, sino al recente "Sotto falso nome" di Roberto Andò) e trovando in particolare nel cinema sommesso e intimista di Giuseppe Piccioni ("Fuori dal mondo" e "Luce dei miei occhi") una fonte d'ispirazione particolarmente felice. Senza contare l'utilizzo che del suo album "Le onde" ha fatto Nanni Moretti in "Aprile".

Se i brani della prima parte ("Una mattina", "Ora", "Leo", "Nuvole nere", "Dolce droga, "Dietro casa", "Nuvole bianche") sembravano sin dai titoli rifarsi ad un impressionismo rivisitato interiormente in chiave antinaturalistica, negli straordinari duetti con il violoncello seducente e notturno di Marco Decimo il compositore piemontese ha esibito anche doti contrappuntistiche di stupefacente nitore, mentre nella parte finale ("In un'altra vita", "Stella del mattino" e poi "Luce dei miei occhi") le accensioni drammaturgiche hanno saputo creare una tensione crescente, tutta interiore, raramente condotta verso spasimi liberatori ma piuttosto, consapevolmente e lucidamente, spenta ancora una volta nell'esplorazione inesausta del suono e dei suoi limiti.

In ciò l'Einaudi compositore trova anche un eccezionale "complice" nell'Einaudi esecutore. Il tocco, in particolare della mano destra, ha qualcosa di miracoloso nella gamma agogica ed espressiva, degno dell'ultimo Backhaus o del giovane Pollini; e l'eco impalpabile, stregata di alcuni pianissimi possiede qualcosa di sovrannaturale. Verrebbe davvero voglia di ascoltare questo pianista nel repertorio classico, poniamo schubertiano, chopiniano o raveliano.

Il Toniolo gremito ha ascoltato in assoluta immobilità, rotta solo dagli applausi fra un brano e l'altro, e letteralmente trattenendo il fiato, la lezione di stile e di poetica di Ludovico Einaudi, e di Marco Decimo, salutandoli alla fine con entusiasmo liberatorio e ottenendone più bis, a conclusione di una serata pensata per chi crede che la musica non conosca barriere e che - come diceva Nietzsche - senza di essa «la vita sarebbe un errore».

Roberto Pugliese


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